India per Galline

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Quando mi sono alzata era ora di colazione per me e ora di pranzo lì, ho mangiato un dolce con le ciliegie e uno al cocco, bevendo un caffè lungo e leggero, come piace a me. Roy, la persona che si è occupata di noi per tutto il tempo, mi ha chiesto se andava bene anche per me la colazione salata come per le mie amiche, ho risposto di sì perché il programma “riprogrammo susi”, prevede anche di fare la cosa giusta, ma ho detto sì a malincuore  e dicendo nella mia mente addio a quel delizioso dolcetto alla ciliegia,  hai voluto la bicicletta, cara…

Quindi ho cercato di capire dove mi trovavo, ma ancora dovevo realizzare chi ero, ho visto davanti a me alberi di cocco, tanti, un laghetto più in là, ma quello che più di tutto ha attirato la mia attenzione è stato il suono, sembrava che qualcuno avesse messo uno di quei cd new age con i suoni della natura, uccelli mai sentiti, acqua, insetti che sfregavano zampette per dimostrare che le cicale fanno tanto mediterraneo, ma pure nella giungla ci si diverte.

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Insieme ai bambini c’erano molte donne in attesa, del resto se eravamo le uniche tre viaggiatrici non accompagnate dagli uomini (e comunque in tutto eravamo cinque donne sul volo), avevamo viaggiato con un carico di uomini che venivano dagli emirati arabi per lavoro, suppongo. A fare che? Perché tanti uomini dagli Emirati Arabi al Kerala? Cosa fanno gli indiani negli Emirati? Avrei voluto ragionare di queste cose tra me e me e pure tra me e l’autista che ci accompagnava, tra me e le mie amiche, ma ogni volta che cercavo di raddrizzare il collo, si piegava dall’altra parte e cascavo in un sonno breve e denso, in India si guida a sinistra e si rischia la vita in media una volta a km, io venivo svegliata dai fari delle auto, moto, autobus che chissà come, non centravano la nostra auto come un birillo. Sulla strada, piccola, a una carreggiata, si incontravano anche quelli che si recavano alla moschea per la preghiera del mattino, la voce del muezzin si sentiva per km, erano soprattutto uomini, anzi direi erano solo uomini, ragazzi, bambini, ma maschi.

Intanto diventava giorno e io tra un colpo di clacson e l’altro mi svegliavo mentre i miei occhi erano sempre più disposti a non guardare il pericolo purché in cambio avessero il meritato riposo. Ma per fare 100 km in India ci vogliono mediamente 3 ore, forse meno, ma non tanto meno. Ho cercato di familiarizzare con il luogo, con la natura che mi sembrava anche al buio così rigogliosa, così tu tarzan e io jane, ma poi gli occhi si chiudevano. Così quando a giorno inoltrato siamo arrivate, credo di aver guardato la mia stanza con una parte dell’occhio, mentre con l’altra ero già sotto la doccia e poi a letto dove l’altro occhio dormiva. (…)

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All’aeroporto di Abu Dhabi siamo stati smistati in direzione dell’India con mezzi diversi. Gli uomini sono stati accompagnati all’aereo diretto a Kozikhode pressati in un solo autobus, mentre fuori c’erano 45 gradi e probabilmente l’aria condizionata non era sufficiente a ristorare l’ambiente. Mentre le donne e le famiglie venivano accompagnate all’aereo in un altro autobus, molto bello e comodo, con al fondo un simil parquet, in tutto eravamo, forse, 8. Con un grande mezzo pulito e profumato a disposizione. Ho pensato in quel momento che essere una donna in un paese arabo non deve essere poi orribile come dicono e che avrei voluto arrivare in India su quel mezzo. Si viaggiava comode e al fresco, come in Business Class. Ma arrivate sull’aereo è cambiato tutto, gli uomini erano tanti e puzzavano già, due di loro hanno litigato perché avevano lo stesso numero di sedia sulla carta d’imbarco. Anzi uno di loro ha litigato, perché era ubriaco. Ho visto le hostess davvero mortificate e preoccupate. Le divise delle hostess di Ethiad sono deliziose, marroni e viola, con giacche strizzate in vita e guanti che si allargano prima dei gomiti. E poi sono giovani e belle le hostess dell’Ethiad, rappresentano il loro paese, esattamente come l’Alitalia rappresenta il nostro, le hostess non sono giovani e sono pure antipatiche e brutte. E sì, questo potrebbe sembrare un argomento sessista, se non fosse che anche gli steward sono brutti e vecchi.
Il volo durava circa 5 ore e secondo il mio bioritmo era già notte, ma ho dovuto sopportare le zaffate di curry dei pasti serviti prima e di gas corporei al curry, dopo. E quel freddo spesso, gelato che usciva dai bocchettoni come quando si apre un freezer in estate. La copertina in dotazione non bastava, non basta mai e non capisco ancora perché sugli aerei faccia così freddo. Vedevo sul monitor davanti a me il puntino che segnalava il volo sul mare arabo e pensavo ai titoli dei giornali in caso di disastro; tre turiste italiane coinvolte. Poi il titolo della Gazzetta del Mezzogiorno sarebbe stato: tre turiste baresi. E avrebbero sbagliato come al solito, perché io non sono barese. Con solo tre turiste occidentali scomparse in un disastro aereo tra gli Emirati arabi e l’India, non avremmo avuto molto spazio nei tg. Quindi era meglio che quel puntino che identificava la nostra posizione durante il volo procedesse fino a destinazione. Se devo morire in aereo, almeno che sia un disastro con i fiocchi e che se ne parli per qualche giorno.
Il bagno su quell’aereo è stato il primo contatto con l’India, ho dovuto fare lo slalom per scansare la pipì sul pavimento, non riuscendoci tra l’altro. Però gli uomini che erano in fila con me, mi hanno fatta passare davanti, l’ho trovato imbarazzante. E comunque ormai il bagno puzzava. Non ho chiuso occhio su quel volo, ho visto Notthing Hill senza sottotitoli, perché i dialoghi li conosco a memoria. Il giorno nuovo l’ho visto in Kerala, all’uscita del piccolo aeroporto ho guardato le facce delle persone in attesa, tanti bambini, l’India è piena di bambini, per un adulto ci sono almeno dieci bambini, a me il rapporto è sembrato così, bambini con gli occhi grandi e pieni di curiosità per noi. (…)

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