dalla sala prelievi al tappetino

Sono quasi certa che la nuova terapia funzioni, non potrei aver fatto il corso di sopravvivenza a Londra in 12 ore (vedi post precedente) senza riportare danni gravi, sì un po di stanchezza ma ci mancherebbe. Va bene, non lo so per certo, però secondo me un po’ è indicativo di come vanno le cose. In fondo faccio quello che facevo prima quando prendevo il femara, sì ok,  di mezzo c’è stato anche l’ xgeva e qualche radioterapia, però fondamentalmente la mia terapia precedente è stata prima il tamoxifene e poi il femara, ovvero la terapia cosiddetta ormonale.

Stamattina ho fatto il prelievo da portare lunedì a Milano, di solito il prelievo è causa di malumore per me, perché il laboratorio trova sempre una buona ragione per rovinarmi la giornata, ma per oggi ho preparato il formato della richiesta così come lo gradiscono (un abuso perché il formato non conta, conta il numero, ma tant’è:..) e ho pagato uno degli esame in elenco  non solvibile dall’Asl. Tutti contenti, prelievo fatto, mi mandano esito con una mail, come si fa di solito in questo secolo. Il laboratorio più vicino a casa ad esempio,  pretende il ritiro. A Milano faccio il fulvestrant e mi danno il ribociclib che poi prendo per tre settimane a cui segue una  settimana di pausa, quindi prelievo e ritorno a Milano per visita e terapia. Sì, potrei fare tutto più vicino a casa, ma aspetto di sapere se la terapia funziona davvero, a parte le mie sensazioni, se il dosaggio del ribociclib è quello corretto e poi nel caso, mi metterò in cerca di un’altra struttura per fare la terapia. Ma  le disavventure con i centri più vicini a casa meritano un post a parte, anzi più di uno. Ho cominciato questa terapia a gennaio,  il fatto è che deve funzionare il più a lungo possibile, credo che il massimo siano cinque anni, ma sono davvero poche le pazienti per le quali funziona per cinque anni.  Ci sono anche quelle che nei cinque anni in cui avrebbero dovuto fare con beneficio questa  terapia muoiono, naturalmente mi chiedo se io sono tra queste e per fortuna, nessuno lo sa. Ci sono anche altre terapie, ma insomma la cosa migliore sarebbe che funzionasse.

Dopo il prelievo sono andata a lezione di yoga, alle 7,40 ero davanti all’ambulatorio per i prelievi e alle 9,15 già sul mio tappetino nella sala yoga,  dopo essermi cambiata e aver fatto una piccolissima colazione, riesco a essere in anticipo anche quando credo di aver fatto tardi. La mia lezione è sempre bella tosta, quindi portarla a compimento e sentirmi bene dopo è come scalare l’Everest per me e io sono grata veramente all’universo di aver messo sul mio cammino lo yoga.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Il mio giorno di strike

Lo scorso mercoledì sono uscita presto a Londra in una mattina di sole, pensavo di prendere la metro ma poi visto il bel tempo ho cambiato i miei piani e mi sono detta: prendo il 15 e vado alla National Gallery, passo davanti alla Torre di Londra, davanti a Saint Paul, vedo il Millenium Bridge, arrivo fino a Trafalgar Square mentre sto al secondo piano dell’autobus. Mi sembrava un piano perfetto, la fermata è a pochi metri da casa di mio figlio.

Prima di uscire gli ho chiesto se c’erano scioperi. Niente, mi dice, oggi è tutto a posto. Quindi esco felice.

Sull’autobus mi accorgo che c’è più gente di quanto ricordassi, strano però, mi dico, nessuno va a lavoro con l’autobus a Londra, perché c’è traffico e non sai mai quando arrivi, va bene per me che ho tempo, ma non ci faccio caso più di tanto. E’ una bella giornata e sono serena. Neppure quando a un certo punto l’autobus si ferma e interrompe la corsa ci faccio caso, scendo con gli altri e aspetto di nuovo il 15, che dopo poco arriva e mi porta a Trafalgar Square.

La mia mattinata continua, dalla National mi sposto attraverso Pall Mall fino Regent Street, poi decido di fermarmi a mangiare gli scones, perché mi piacciono tanto, da Fortnum&Mason a Piccadilly, e poi ritorno su Regent Street,  vado da Liberty e pure da Anthropologie dove mi compro un paio di sandali di sughero con le margherite stampate e il mondo mi sembra un posto meraviglioso in cui non può succedere nulla di male. Fino a quando non decido di tornare a casa, malvolentieri, ma si sono fatte le 3 del pomeriggio e alle 5 e 45  io e mio figlio andiamo a mangiare, un orario un po’ insolito ma era l’unico disponibile per il ristorante scelto, quindi si era deciso di andarci lo stesso saltando il pranzo. Torno a casa così riposo un po’, mi dico. Ma non c’è mai niente che funziona peggio per me come il fare le cose come andrebbero fatte. Alle 3, 20 davanti a alla fermata della metro di Piccadilly Circus, mi accorgo che la stazione è chiusa, Quindi mando a mio figlio un messaggio per chiedere se è solo quella la fermata chiusa o c’è dell’altro. C’è dell’altro; mi risponde infatti che è una giornata di sciopero e che è tutto bloccato, me lo avevi pure chiesto, aggiunge. Mio figlio è un deficiente, a un certo punto bisogna fare i conti con la realtà e dirsele le cose: mio figlio è un deficiente. Bene gli dico, cosa faccio? Vai verso il fiume, mi dice. Lo giuro, mi dice proprio così, la soluzione a quel problema per lui era dirigermi verso il fiume. Non so dove mi trovo, non so chi sono, come mi chiamo e neppure cosa ci faccio qui e dovrei sapere da che parte andare per trovare il fiume? Deficiente. Mi viene in mente che potrei prendere il 15 per tornare a casa, visto che il 15 mi ha portata fino a Trafalgar Square, chiedo al deficiente qual è la fermata più vicina rispetto a dove ero, lui mi dice Embankment, con citymapper cerco Embankment ma naturalmente non c’era nessuna fermata del 15 ad Embankment quindi sono risalita verso Charing Cross dove ho trovato una fermata del 15. Intanto a Trafalgar Square era appena finita una manifestazione e ho potuto capire che lo sciopero riguardava la sanità e la scuola pubblica, centinaia di persone si sono riversate sulle strade e il traffico era paralizzato, fiumi di taxi immobili (ovviamente occupati), qualche autobus in lontananza. Intanto il tempo era cambiato, scuro e freddo, ha cominciato a piovere. Alla fermata del 15 è arrivato almeno tre volte  il 178, due volte l’11 e poi niente altro, sia il 178 che l’11 per fare 20 metri ci mettevano circa venti minuti, lo so che può sembrare una esagerazione, ma non esagero affatto. Potevo provare a cercare un Uber ma avevo due problemi, il primo era che con quel traffico sarebbe stato impossibile raggiungermi, ammesso che avessi trovato la disponibilità di un’ auto, ma soprattutto avevo il telefono che si stava scaricando, non avrei potuto più trovare l’auto senza il telefono. Lo so potevo uscire con una power bank in borsa, cosa che in viaggio faccio sempre. Ma io ero uscita a fare una passeggiata in una giornata di sole a Londra e potevo tornare a casa in qualsiasi momento, non ero preparata per un assedio e soprattutto prima di uscire avevo chiesto a un deficiente se c’era lo sciopero dei mezzi. E mi aveva risposto di no. Faceva freddo e io continuavo ad aspettare il 15 che non arrivava, faceva freddo e io ho cominciato a sentire mal di testa, a un certo punto ho pure pensato: sei la solita, non avresti dovuto esporti, avresti dovuto cautelarti, è questo che dovresti fare invece di venire a fare le prove di sopravvivenza a Londra. Il 15 non arrivava e cercavo di capire come fare per tornare a casa senza neppure google map che potesse aiutarmi perché da 20 per cento di batteria eravamo velocemente passati a 15. Ho anche pensato adesso mi butto a terra e piango. Poi ho pensato che in qualche modo avrei fatto, che era inutile aspettare il 15 perché non sarebbe arrivato e comunque la città era congestionata per cui anche con il 15 sarei arrivata a casa di notte. Ho telefonato al deficiente e gli ho chiesto quanto distava il ristorante che aveva prenotato da Charing Cross, circa 50 minuti mi ha detto, ci vediamo lì allora, mandami indirizzo. così mi ha mandato indirizzo e geolocalizzazione ma io l’avevo geolocalizzato con citymapper perché ho letto solo l’indirizzo e non ho aperto il messaggio, perché non mi aspettavo fosse improvvisamente così lucido. Quindi ho salutato il mio tristissimo gruppo di attesa del 15 e ho seguito le indicazioni di citymapper per 110 Bishopsgate, mentre la giornata si era trasformata in fredda con nevischio. Come se fossi stata risucchiata nel mondo di Narnia. Dopo qualche centinaia di metri e con l’angoscia che il telefono mi avrebbe abbandonata di lì a poco ho intravisto in lontananza il fiume (che mi ha subito riportata agli insulti al deficiente), che poi si è avvicinato e che ho seguito per qualche chilometro, cercando di memorizzare le strade successive, perché intanto la batteria era al 9% e sapevo che di lì a poco mi avrebbe lasciata. Quindi credo di aver corso, tra la pioggia, la confusione delle auto, la gente a frotte che incontravo, ho corso cominciando a sentirmi leggera, il mal di testa era passato, ho ricominciato a sentirmi bene, sono passata da South Bank e mi sono ricordata di Match Point, ambientato in quel quartiere stupendo, chissà se è reale un quartiere così, se c’è gente che fa la spesa, che accompagna i figli a scuola, se esce per andare al dentista, o se può essere solo un set. Intanto correvo e guardavo un po’ citymapper e un po’ spegnevo lo schermo per preservare un po’ di batteria, poi il lungo fiume è finito e mi avvicinavo sempre di più alla City, era freddo ma stavo bene, il movimento mi faceva sentire solo un piacevole fresco sulla faccia, solo la mano con cui tenevo il telefono era infreddolita. Il deficiente a un certo punto mi ha chiesto se ero viva, chiedendo conferma se ci vedevamo al ristorante. Certo, io dove sto andando allora? Ero uscita col sole, stava diventando buio, ma per ragioni che non so,  ero sempre più rilassata. Intanto il telefono passava al 4% di batteria. A un certo punto mi sono pure distratta e ho perso la traiettoria, poi l’ho ritrovata mentre ripetevo ad alta voce il nome delle vie da memorizzare se si fosse spento il telefono.

Sono arrivata al 110 di Bishopsgate con l’1% di batteria, ma si vede che l’algoritmo ha incrociato i miei dati e mi ha fatto fermare all’ingresso di servizio. Per fortuna mi è venuto il dubbio e ho chiesto, intanto il telefono è morto. E’ dall’altra parte mi ha detto un ragazzo, sono andata dall’altra parte ma non vedevo l’insegna che cercavo, quindi sono entrata in una hall di non so neppure cosa  e ho chiesto se era quello il numero civico che cercavo, no signora ma è qui, venga l’accompagno. Mi ha accompagnata, deve avermi vista stravolta, comunque sono arrivata dove volevo, il deficiente è riuscito pure ad arrivare dopo di me. Abbiamo mangiato, mi sono rasserenata, mi ha portato pure una power station per ricaricare il telefono, che gentile. Ma sempre deficiente. Poi siamo tornati a casa, a piedi. Riassunto della giornata:12 km da Charing Cross. Quelli fatti prima non li mettiamo in conto. Un Figlio deficiente. Una bella cena con una vista magnifica e un paio di sandali superlativi.

 

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

la mia tavoletta di cioccolato

La fuga mi caratterizza, il desiderio di andare se non altro. Andare dove, per fare cosa è relativo,  si tratta di una maniera per sfuggirmi, certo, ma è anche la mia versione del chi si ferma è perduto, che ha una sua verità universale.

Non sempre per andare devo uscire di casa, anzi paradossalmente se sono a casa esco poco, poi succede che stando a casa riesco ad essere altrove lo stesso, perché mi appassiono alla storia che sto leggendo oppure al film o alla serie che sto guardando, al podcast o alla musica che ascolto

E’ questo l’altrove che mi ha salvato la vita, da sempre; mi sfuggo per immergermi in altro, mi sfuggo perché riesco ad essere dove voglio. Eppure sono disposta ad accettare ogni singolo pezzo della mia realtà.

Convivo col cancro dal 2015 e non ho più alcuna voglia di fare finta di niente. Penso che un giorno morirò, certo come tutti, e che non non voglio far finta di nulla, voglio pensarci e capire come dare un senso a una vita segnata ma non finita. Quanto parte di me è assorbita da questa realtà? Molta ma non tutta. Penso alla mia vita come a una tavoletta di cioccolato, gran parte forse l’ho mangiata e senza neppure godermela, ora vorrei mangiare i quadratini che mi restano con consapevolezza, sentendo la dolcezza, il profumo e anche la poesia del cioccolato.

Senza vittimismo e senza negare la realtà, è meno facile di quanto si pensi, ma questa è la mia vita e io la accetto, per quanto sia difficile da credere, spesso mi sento felice. Certo il percorso fino a qui è stato una grande fatica, le terapie sono sfiancanti, ma potevano pure non funzionare e invece fino ad ora hanno funzionato, un po’ di fortuna e un po’ di disciplina poi la dieta e lo yoga, altro meraviglioso viaggio nel viaggio della malattia, e sento ancora forte la voglia andare.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

la nuova versione di me

Da quando sono diventata follower della Chiara (con la quale ho empatizzato dato l’odio rovesciatole a Sanremo) mi si aprono su Instagram le dirette delle sfilate di moda che più di moda non si può. Immagino il mio algoritmo più perplesso di me, sulla mia pagina sono passata dalle frasi motivazionali e la pubblicità sulle cremazioni a costi imbattibili (giuro) alle sfilate di moda: Dior, Armani, Chanel, anzi alle dirette proprio della sfilata e io so tutto di moda, quest’anno la sfilata di Chanel è ispirata alla camelia di Coco, avanguardia pura.

Sarà che piano piano mi sto riposizionando e ho aggiunto alle mie ricerche l’Irlanda dopo anni di Egeo e mar di Marmara, comunque a parte i reel sui gattini, mi sono persa.

Il mio algoritmo è un po’ in affanno, quindi proverò a mettere un po’ d’ordine.

Questo blog mi seguirà nella nuova versione di me perché è tempo di cambiare e, o si fa sul serio, o si muore (riferito al blog, eh).

 

 

 

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Se la vita è un viaggio in cui tutto ha senso, di tutte le cose per cui sono qui, tu sei la migliore.

 

Stamattina ho visto da Fiorello i festeggiamenti per Vincenzo Mollica, nonostante gli sforzi credo di aver visto poche volte uno spettacolo così triste. Suppongo che lo avesse messo in conto pure Fiorello, ma che ci sono cose che si fanno anche se già sai che non potranno venire bene. Fiorello avrà avuto i suoi buoni motivi e a Fiorello siamo disposti tutti a concedere tutto, chissà perché. Cioè il perché è noto e non sarò io a ripeterlo. Diciamo che è uno bravo e la chiudiamo qui.

Solo che la visione di Mollica deve aver portato a tutti quel senso di perdita che già ci accompagna e mi ha fatto venire in mente quella frase di Francis Scott Fitzgerald per cui la vita è un processo di disgregamento; di sottrazione in effetti, aggiungerei io.

E’ così e non possiamo farci nulla, poi l’entusiasmo nella voce di Fiorello ci ha fatto sentire ancora più perduti, imprigionati negli anni da festeggiare, nei ricordi da ricordare, nella malattia da celare. Inutilmente. Perché anche se ce l’hanno fatto vedere seduto per sottrarlo all’indecenza, l’indecenza della condizione umana era lì, uno spettacolo aberrante in cui io non riesco ancora a vederne la grazia. Che pure ci deve essere.

(Se la vita è un viaggio in cui tutto ha senso, di tutte le cose per cui sono qui, tu sei la migliore. Ecco, questa è l’unica cosa a cui riesco a pensare per consolarmi.)

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su: