Dublino e Belfast viste da me

Lo dico subito, le foche a Howth non le ho viste e pure Howth non mi è sembrata granché, villaggio sul mare d’Irlanda o periferia di Dublino, davvero non capisco cosa richiami lì tanta gente. Non parlerò del freddo perché quello è soggettivo ma il ricordo più netto che ho è proprio il freddo e il vento sferzante. Cercando riparo in uno Starbucks mi sono ustionata il palato bevendo un Americano. Anche di Dublino ho poco da dire, non bevo perché bere è proprio la cosa più stupida che potrei fare durante un trattamento oncologico quindi la vita nei pub con la musica dal vivo bevendo birra fino a stramazzare, su di me non ha esercitato alcun fascino, però capisco che possa piacere. Ho però visitato la Guinnes Storehouse che credo sia una delle più importanti attrazioni della città, essendo stata  la fabbrica della Guiness, storicamente, il centro economico e sociale della città. Durante la visita, ben allestita e organizzata mi sono tornati in mente tutti i bevitori di birra di cui parla la letteratura irlandese che conosco, tutta quella umanità disperata che combatteva fame e freddo, invano,  con una pinta di birra,  le storie di quelle donne che aspettavano il rientro dei mariti per poter comprare un tozzo di pane per sfamare i figli mentre i mariti rientravano ubriachi e al verde. Quindi non so dire in tutta onestà quanto ha dato e quanto ha tolto ai suoi abitanti quella fabbrica. Magari dico una cosa impopolare ma lo penso. Intendiamoci di ubriaconi nei pub è piena la letteratura non solo irlandese ma la sensazione è che in Irlanda ci sia stato proprio ben poco altro, la birra, la religione cattolica e l’emigrazione. Abbiamo visitato anche il museo dell’emigrazione, ci tenevo a vederlo anche per capire come si organizza un museo dell’emigrazione che prima non avevo mai visto, perché ho sempre pensato che ci siano intere zone dell’Italia che con un museo dell’emigrazione si potrebbero raccontare bene. Anche il Museo dell’emigrazione di Dublino mi è sembrato ben fatto, 70 milioni di persone nel mondo sono di origine irlandese, valeva la pena provare a raccontare l’Irlanda dal punto di vista dell’emigrazione. L’Irlanda per la sua storia di emigrazione si difinisce un’isola aperta, dominata dagli inglesi fino a non molto tempo fa;  a me onestamente Dublino è sembrata un quartiere di Londra di quelli meno affascinanti. In compenso è cara come Londra, so che ci sono moltissime aziende legate alla new economy attratte dal fisco irlandese, ma mi chiedo che vantaggio ne abbiano i dublinesi. Non sapevo o meglio forse non ricordavo che Samuel Beckett fosse irlandese, forse perché ho sempre assimilato la letteratura irlandese a quella inglese, Oscar Wilde, ad esempio. Però pensandoci bene tutta quella umanità derelitta e ferma sulla panchina in attesa di cui parla Beckett, è la descrizione perfetta di una umanità povera e infreddolita e alticcia di cui doveva essere popolata l’Irlanda dei suoi tempi.

Belfast mi ha affascinata di più, non soltanto per il suo museo e quartiere del Titanic, dove pure ho imparato tante cose che non sapevo, ma soprattutto la visita fatta sotto la pioggia del quartiere ovest e della zona dei murales. Davvero è difficile pensare a una città così piccola dove per decenni si è creduto di combattere il Regno Unito e di sconfiggere la sua armata, mettendo bombe da Marks & Spencer ogni sabato (cito Mcliam Wilson a memoria).

Ma Belfast è una città così, divisa tra protestanti unionisti e  separatisti cattolici, in guerra tra bande, tra quartieri, tra condomini e forse persino tra colleghi, nonostante gli accordi cosiddetti del venerdì santo, la rabbia non sembra mai finita, nonostante pure le 3000 vittime. Ogni angolo del quartiere ovest ha un suo piccolo cimitero della memoria. Davvero una città che dopo aver perso la sua centralità nel mondo (agli inizi del ‘900 era la maggiore manifattura del lino mondiale e i suoi cantieri navali, i più all’avanguardia) non ha saputo ritrovare il suo centro.

Se decidete di andarci leggete prima Eureka Street, di Robert Mcliam Wilson, è una lettura illuminante sulla città oltre che bellissima, quindi potete decidere di leggerlo anche se non ci andate.

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Se l’Irlanda ha saputo aspettarmi

Non sono mai stata in Irlanda, l’ho sfiorata, una volta l’ho proprio sfiorata, ho comprato la guida e me la sono letta, ho incominciato a pensarci e a conoscerla prima di arrivarci, ma poi me la sono dimenticata. Era un periodo in cui leggevo tanti autori irlandesi, no;  è stato prima degli autori irlandesi, in realtà in Irlanda ci dovevo andare con uno che poi invece si è dato. Mi aveva pure fatto leggere un libro che si chiamava “Un taxi color Malva” per dimostrarmi quanto amava l’Irlanda. Libro di cui non ricordo assolutamente nulla e che non mi piacque neppure granché, poi quando era più o meno il momento di andare in Irlanda se ne andò e allora in Irlanda non ci sono più voluta andare e non ci ho neppure più voluto pensare e mi dava pure un po’ fastidio il fatto che ci fosse l’Irlanda e io non ci ero andata quando ci volevo andare. Senza neppure volerlo  sono in partenza per l’Irlanda, per Dublino e Galway e pure per Belfast e l’aurora boreale e voglio pure vedere le foche. Sono inciampata nell’Irlanda, parto per l’Irlanda ma avrei preferito Creta, adesso bisogna che si faccia trovare bella l’Irlanda, mi immagino che farà pure freddo, mannaggia. Bisogna che si faccia trovare attraente, l’Irlanda. Bisogna che si ricordi di me e di quanta strada ho fatto da quella volta che dovevo andare e poi non ci sono più andata, bisogna che abbia un po’ di riconoscenza per me, l’Irlanda, e mi faccia dei complimenti e mi dica che sono stata brava e che ora sono molto meglio di quella che la doveva visitare allora,  che si accorga che ora non leggerei un libro solo per compiacere uno che dice di amare l’Irlanda. Sono abbastanza grande per l’Irlanda, bisogna solo capire se anche  l’Irlanda è abbastanza grande per me e se è stata capace di aspettarmi. Ma poi vi dirò e lo saprete.

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Linate – Bari, la nuit

Così ieri sono andata Milano per la terapia, alle 15.40 avevo fatto tutto, ero pure già andata nella farmacia dell’Humanitas a ritirare il farmaco senza perdermi.

Ho quindi preso un taxi per Linate e mentre arrivavo ho avuto pure un’ideona. Adesso vado ai banchi Ita e faccio il pianto greco, faccio quello che non ho mai fatto e che mi ha insegnato un mio amico, dico: guardi ho appena fatto una terapia oncologica, per favore può aiutarmi a prendere il prossimo volo per Bari visto che per il mio devo aspettare le 21 e 50?

La signora è stata gentile, intanto io pensavo a tutte le volte che avrei potuto farlo e non l’ho fatto ma vabbé, meglio tardi…

“Mi dispiace, non ci sono voli per Bari prima del suo”. Strano, penso, ci dovrebbe essere quello delle 19,20 ma si vede che deve essere cambiato qualcosa. Quindi rassegnata mi dirigo verso il “Panino Giusto” dove però non prendo un panino ma l’insalata Sorrento, mi pare, e poi un po’ rimbambita e un po’ trionfante vado verso la lounge dell’aeroporto visto che grazie all’American Express rifilatami proprio a Linate, ho diritto ancora a un ingresso gratis.

Ma sono difficile da tenera tranquilla in certe giornate, quindi alle 20,00 forse  ritenendo che in qualche modo e chissà come, potessi partire prima, perché veramente dovendo partire alle 20,50 non so cosa mi abbia spinto fuori dalla lounge( in cui comunque avevo un po’ freddo e non so mai se la temperatura esterna è bassa o se  ho sempre freddo per effetto delle terapia, quindi taccio), in ogni caso alle 20 circa, alla ricerca del gate A08 sono riuscita a ritrovarmi nella zona dell’aeroporto dove per accedere al gate che cercavo dovevo rifare i controlli di documenti e bagaglio. Non so ancora come ho fatto, ma è successo.

L’ho scoperto quando nella mia ricerca del gate ho chiesto dove fosse e mi hanno detto: signora deve uscire e rientrare e fare tutto da capo. Era quello il motivo per cui sono uscita alle 20 dalla lounge, evidentemente in mio inconscio aveva voglia di nuove avventure. Che infatti non sono mancate, lo spettacolo stava appena per cominciare, annunciato il ritardo del mio volo, mi sono buttata su una sedia del gate A08 e ho assistito impotente alla disavventura che stava per abbattersi su 78 passeggeri, tra cui io, quella che voleva anticipare il volo perché un po’ provata dalla terapia, povera stella.

Sono atterrata a Bari alle 3 di notte circa invece che alle 23, 20.  Ma il vero show l’hanno fatto i rappresentanti di Ita con le loro spiegazioni impossibili da commentare;  prima  la grandine a Napoli da dove l’aereo era atteso, poi vi faremo dormire in albergo, poi ah no ma forse arriva, ma forse no, vedremo. Poi il vaucher per il panino, sono riusciti  a impappinarsi pure su quello; pare che il bar non ne sapesse nulla. Poi l’acqua, come si fa durante i disastri; è arrivata l’acqua da Ita. 78 persone in ostaggio di due deficienti, una ha addirittura detto, per giustificarsi dell’inadeguatezza forse, che lei lavorava per 1200 euro. Insomma la pacca sulla spalla la voleva da noi e la voleva alle 2 di notte.

(Com’è che Ita non ha un solo aeromobile a Linate, la strombazzata rinata compagnia italiana ora partner della super efficiente Lufthansa? )

 

 

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Nicoletta Saracco e la primavera

il 25 marzo la chiesa cattolica festeggia o ricorda (non l’ho mai capito) l’Annunciazione della nascita di Gesù a Maria, l’ho letto sul calendario e mi sono anche ricordata che in molte zone proprio in coincidenza del 25 marzo si accende il falò, simbolo (vado a spanne e senza seri riferimenti bibliografici) di rinnovamento. Si festeggia la primavera insomma e probabilmente si festeggiava attraverso la simbologia del fuoco anche prima del cristianesimo perché tutte le tradizioni legate al ciclo delle stagioni, al propiziarsi del raccolto,  sono precristiane. Anche il Natale fu sovrapposto alla festa della luce poiché intorno a quella data le giornate finalmente cominciano ad allungarsi, tutto questo per dire che ieri passeggiando in campagna ho proprio sentito forte l’arrivo della primavera intesa come rinascita, il contadino dell’azienda in cui ero in visita mi ha pure spiegato che in realtà c’è un anticipo di circa 15 giorni  sulla vegetazione. E’ confortante sapere che il ciclo di rinnovamento, il passaggio da fiori a gemme, da tralci a pampini e poi uva, si rinnova e si rinnoverà, perché le stagioni tornano, tornano sempre. Quelle belle e quelle brutte, con il cambiamento climatico, con la siccità, con quello che lasciamo indietro, ma loro tornano. Nulla finisce davvero, anche quello che si è concluso torna sotto altre forme, la ciclicità andrebbe osservata. Passano i giorni ma tornano tutti i giorni, passa la luce ma torna ogni giorno. Passiamo noi ma altri verranno. Saranno meglio di noi, peggio di noi, davvero poco importa. Siamo sì e no in grado di comprendere parte dei nostri tempi in ogni caso, figuriamoci se possiamo comprendere quello che verrà.

Oggi ho saputo della morte di Nicoletta Saracco, la ricordo in una intervista che mi colpì tanto tanto, vista casualmente perché è proprio un genere di cose che evito, ma la sua la ricordo benissimo anche se di lei negli anni non ho saputo più niente, a lei ho sempre pensato. Forse l’ho inconsciamente evitata, perché ho letto che parlava di sé sul suo profilo instagram,  era ancora molto giovane e  la vita aveva da poco, pochissimo, cominciato a girare dalla parte giusta prima di darle la sberla della malattia.  Non c’è giustizia su questa terra e sarebbe già una consolazione sapere che altrove c’è ma ci sono giornate in cui è molto difficile crederci.

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dalla sala prelievi al tappetino

Sono quasi certa che la nuova terapia funzioni, non potrei aver fatto il corso di sopravvivenza a Londra in 12 ore (vedi post precedente) senza riportare danni gravi, sì un po di stanchezza ma ci mancherebbe. Va bene, non lo so per certo, però secondo me un po’ è indicativo di come vanno le cose. In fondo faccio quello che facevo prima quando prendevo il femara, sì ok,  di mezzo c’è stato anche l’ xgeva e qualche radioterapia, però fondamentalmente la mia terapia precedente è stata prima il tamoxifene e poi il femara, ovvero la terapia cosiddetta ormonale.

Stamattina ho fatto il prelievo da portare lunedì a Milano, di solito il prelievo è causa di malumore per me, perché il laboratorio trova sempre una buona ragione per rovinarmi la giornata, ma per oggi ho preparato il formato della richiesta così come lo gradiscono (un abuso perché il formato non conta, conta il numero, ma tant’è:..) e ho pagato uno degli esame in elenco  non solvibile dall’Asl. Tutti contenti, prelievo fatto, mi mandano esito con una mail, come si fa di solito in questo secolo. Il laboratorio più vicino a casa ad esempio,  pretende il ritiro. A Milano faccio il fulvestrant e mi danno il ribociclib che poi prendo per tre settimane a cui segue una  settimana di pausa, quindi prelievo e ritorno a Milano per visita e terapia. Sì, potrei fare tutto più vicino a casa, ma aspetto di sapere se la terapia funziona davvero, a parte le mie sensazioni, se il dosaggio del ribociclib è quello corretto e poi nel caso, mi metterò in cerca di un’altra struttura per fare la terapia. Ma  le disavventure con i centri più vicini a casa meritano un post a parte, anzi più di uno. Ho cominciato questa terapia a gennaio,  il fatto è che deve funzionare il più a lungo possibile, credo che il massimo siano cinque anni, ma sono davvero poche le pazienti per le quali funziona per cinque anni.  Ci sono anche quelle che nei cinque anni in cui avrebbero dovuto fare con beneficio questa  terapia muoiono, naturalmente mi chiedo se io sono tra queste e per fortuna, nessuno lo sa. Ci sono anche altre terapie, ma insomma la cosa migliore sarebbe che funzionasse.

Dopo il prelievo sono andata a lezione di yoga, alle 7,40 ero davanti all’ambulatorio per i prelievi e alle 9,15 già sul mio tappetino nella sala yoga,  dopo essermi cambiata e aver fatto una piccolissima colazione, riesco a essere in anticipo anche quando credo di aver fatto tardi. La mia lezione è sempre bella tosta, quindi portarla a compimento e sentirmi bene dopo è come scalare l’Everest per me e io sono grata veramente all’universo di aver messo sul mio cammino lo yoga.

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