complementi di luogo e Savasana

A proposito dell’andare avanti e delle ragioni che spingono ad andare avanti, oltre al movimento in sé,  il moto : a luogo,  da luogo,  per luogo,  in luogo; ripetere i complementi di moto aiuta a prendere la direzione e la rincorsa, nel caso.

Moto a luogo: Trovare un direzione, un posto dove andare, un luogo da visitare, un meta da raggiungere. Il corso di uncinetto, il corso di aramaico, in libro sulle  cinciallegre purché ci attiri, purchessia.

Moto da luogo: sapere da dove si viene, conoscersi, tenersi, riconoscere limiti e pregi, rileggere e finalmente comprendere quello che non abbiamo capito o riscrivere, nel senso di ripensare a quello che non ci è stato chiaro fino ad ora e che non abbiamo proprio compreso o almeno che non ci torna, recuperare l’episodio e capirlo, il tempo svela se ci si mette di impegno. Il tempo svela e ci svela, tutto.

moto per luogo: il mio preferito. Passare attraverso. Passare attraverso l’inferno, come Dante. Passare attraverso le stagioni come Hugh Grant in Notting Hill, passare attraverso la strada, la città, l’amore.

Stato in luogo: il più difficile di tutti, essere in sé oppure riuscire a stare con se stessi, farsi compagnia. Accettare, accettarsi. Cambiare senza evidenti trasformazioni. Lo stato in luogo è un complemento di moto difficoltoso, come Savasana nello yoga. Restare immobili è complicatissimo, bisogna stendersi, rilassare il collo la nuca, i muscoli del viso, rilassare le pelvi  e l’addome, il diaframma, sentire il busto che si apre, estendere le clavicole verso l’esterno, rilassare il dorso. Concentrarsi sulla respirazione e calmare il respiro. In genere a quel punto può succedere che vi pruda il naso, a me succede almeno, ho imparato che posso restare immobile e che se resisto, spostando l’attenzione o solo pensando di lenire il fastidio dall’interno, passa. E’ un grande successo. Stando ferma, la mia testa controllo il fastidio.

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I giorni a statuto speciale

I giorni intorno al viaggio a Milano, sono giorni a statuto speciale, mangio quel che voglio e con meno sensi di colpa, sto più tempo sulla mia poltrona e guardo film di Natale tutti uguali, cerco pace spegnendo i pensieri. Per quanto sia diventata una routine andare a Milano per i controlli, un carico di emozioni mi segue come una nuvola pesante, a volte intravedo il sole altre volte la nuvola è spessa e ho bisogno di tempo per ricominciare a respirare. Come se dovessi recuperare fiato dopo una maratona, e questo accade comunque vadano le cose. Anche nei giorni più difficili, recuperare, stare in silenzio, indugiare in ogni pratica di riposo, mi ritempra. Ma deve durare poco, oggi riprendo la solita vita, riprendo le lezioni di yoga più intense, la routine di sempre e tutto quello che mi dà la sensazione di andare avanti e che, in effetti, mi fa andare avanti. Cosa ci fa andare avanti? E’ differente eppure uguale per tutti credo; i progetti, la ricerca delle soluzioni, le promesse che ci vengono fatte e quelle che facciamo a noi stessi. Tutte le promesse sono promesse di felicità. Funzionano anche quando sappiamo come vanno a finire ma fanno andare avanti. Però quello che ci fa andare avanti, tutti, perché è una regola che vale per tutti, è il fatto stesso di andare avanti. Il moto, il continuare a dire: domani faccio quello, domani devo fare questo e anche se non potrei, anche se non è intelligente, anche se non interessa a nessuno, anche se non cambia nulla per nessuno,  io lo faccio lo stesso, e vado avanti. Lo faccio perché questo è il passo giusto per me

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il ritorno

Mi sono alzata prestissimo, svegliata tra la notte e l’alba da Giulietta, la mia gatta urlatrice. Giulietta non miagola, urla, non è stata sempre così ma è da qualche mese che esprime  ogni minimo disagio con urla che squarciano il silenzio della notte e non possiamo farci nulla.

Comunque ieri sono andata a letto molto presto e forse non avevo più sonno ed essendomi svegliata all’alba ho pensato bene di accendere una candela perché nei paesi nordici in inverno si fa così e poi perché è la seconda domenica dell’avvento, qualsiasi cosa voglia dire.

Mi invento rituali, a volte funzionano (sull’umore intendo) a volte no, quando non funzionano mi sento una cretina. Come stamattina. Comunque la casa è silenziosa e profuma di caffè. Non va così male, è solo il down del ritorno da Milano.  Poi passa. Non ho visto la mia solita dottoressa e quella che ho incontrato aveva un accento toscano strettissimo, ho dovuto spesso chiederle di ripetere e mi sono sentita fuori posto. E poi quando a me è stato diagnosticato il cancro lei sicuramente era ancora al liceo, questa cosa mi ha scocciato un po’, non perché non sia abbastanza brava, lo è ne sono sicura, perché in generale è seccante che ci sia tutta questa gente con la vita davanti, no?

Vado a farmi una doccia, mi vesto bene e mi trucco. Dovrebbe funzionare.

 

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lo sguardo e i super poteri

la mia amica Giovanna ha cominciato da poco a praticare yoga, così quando mi ha chiesto cosa intendevo dire a proposito dello sguardo che indica la direzione, mi è venuto in mente Dristhi. Le cose sono andate più o meno così: chiedi alla tua insegnante cosa è Dristhi. No,  non chiedo, è troppo impegnata con altre cose, la perdono solo perché mi sento meglio.

Praticare Yoga e sentirsi meglio, dopo poche lezioni, o non è vero oppure  significa che hai imbroccato il corso giusto, comunque ho dovuto spiegare a lei un po’ maldestramente cosa è  Drishti, ne ho pure scritto un paio di post fa. In ogni caso le ho detto che è lo sguardo che crea l’intenzione e la direzione, più o meno. Mi ha risposto: è un super potere.

E’ qualcosa a cui in effetti non avevo pensato, potrebbe pure essere un super potere nel senso yogico del super potere: abbiamo infinite risorse e attingere a loro è semplice. Quindi lo sguardo che punta ad un obiettivo e ti trascina fino all’obiettivo, anche in senso traslato, è un super potere, in un certo senso.

Come lo è l’attenzione, la concentrazione, tutti gli aspetti su cui la pratica si focalizza.

Ora, io non sono una sostenitrice del pensiero magico, considero lo yoga una chiave, un alleato, non  dò  alla pratica poteri taumaturgici sebbene mi sia e mi sia stato stata infinitamente di aiuto, però Giovanna ha ragione, Drishti, in senso traslato ma anche nel senso nello sguardo che mi porta verso la direzione, è un super potere.

Comunque io oggi sarò a Milano, quindi mi affido al super potere che mi si è appena svelato e ne riparliamo tra un paio di giorni

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sempre sullo sguardo (Drishti)

Continuo a pensare allo sguardo, agli sguardi e alla loro direzione. Drishti in sanscrito vuol dire sguardo, nello yoga ogni asana è accompagnata da Drishti, la direzione dello sguardo, la giusta direzione dello sguardo ci consente di eseguire correttamente la posizione.  Nella posizione del guerriero, la prima,  Virabhadrasana A,  una delle posizioni di forza e radicamento, la direzione dello sguardo è “fino al cielo”.

E’ la direzione, sempre, che ci mantiene centrati, che ci aiuta a resistere.  Non il modo il cui poggiamo le gambe, stendiamo le braccia,  o meglio non solo;  ciò che ci fa raggiungere l’obiettivo è lo sguardo. Restiamo stabili e forti guardando fino al cielo. Lo sguardo ci  raccoglie e ci porta oltre quel che vede, la direzione e la concentrazione che richiede Drishti, ci porta oltre ma ci fa restare stabili.

Dalla terra, con i piedi ben piantati, il  baricentro perfettamente allineato, con la sensazione che nulla ti possa far vacillare, che puoi farcela, la posizione del guerriero, non la raggiungi senza guardare fino al cielo.

Lo yoga insegna che bisogna mantenere lo sguardo morbido,  è lo sguardo che vede oltre cose, non giudicante, che può cambiare direzione in base all’obiettivo (alla posizione), lo sguardo che trascina avanti. Lo sperimentiamoo tutti i giorni, andiamo dove e come guardiamo.

 

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Respira

Lo yoga insegna che nasciamo con un numero limitato di respiri e che l’unica possibilità che abbiamo per vivere di più è allungarli. L’esempio più frequente è quello della tartaruga, che vive tantissimo, emettendo circa 4-5 respiri al minuto.

Secondo questo ragionamento chi ha il fiato corto, chi è costantemente trafelato, in ansia e agitato, si accorcia la vita. Semplice buonsenso.

Sebbene nel piccolo osservatorio della mia esistenza non posso dire neppure di aver visto andar via prima gli ansiosi, a parità di anni raggiunti. Per cui mi sono fatta l’idea che il senso del principio sul quale alcune discipline insistono è che con i respiri lunghi, si vive semplicemente meglio.

Si dovrebbe vivere rallentando il respiro, non evitando i pensieri che lo accelerano, caso mai attraversandoli. Almeno questo è stata la mia soluzione, mutuata anche da quei principi, smettere ogni forma di evitamento; cercare, se possibile di raggiungere il centro delle cose, non negarle e non sfuggirle e nonostante tutto respirare lentamente, non sempre ci riesco ma almeno ho imparato a non negare, quando ho cominciato ho dovuto rileggere e reintepretare tutta la mia storia e scoprire che il ricordo, anche il ricordo, altro non è che interpretazione della realtà. La realtà ci sfugge appena ci sembra di raggiungerla, è l’isola perduta. Eppure se si vuole davvero allungare il respiro, bisogna provarci. I modi sono infiniti, ognuno trova il suo ma alla fine il senso delle cose è tutto lì: conoscere se stessi e farlo con i propri mezzi senza risparmiare sulla parte più dolorosa.

Qualche giorno fa una mia amica mi ha detto che vado sempre negli stessi posti. Una gallinaccia in fuga dove sa.  Non è del tutto vero, ma in parte lo è ed  è comunque il mio modo di conoscere me stessa. In ogni luogo rivisitato, vado a trovare un pezzo di me. Qualche volta verifico quella che sono stata e quella che sono, rincorro nuove cose  pure nei passi già percorsi,  ho bisogno di tornare ancora e ancora pur non avendo alcuna attrazione per la nostalgia. E’ che i luoghi sono simboli, pezzi sparsi che ritrovo nella composizione dello spazio che percorro per raggiungerli e finché risuonano ho bisogno di ritrovarli, è uno dei modi di allungare i miei respiri.

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