La fine delle Madeleines

Per una colazione speciale, ieri mattina io e il signor P. ci siamo seduti al tavolo di un bar famoso in città per la varietà e la ricercatezza delle sue brioches e croissants. La colazione è sempre speciale per me, quella di ieri lo era particolarmente anche perché non mangio croissants tutti i giorni, quindi ho scelto un croissant con crema diplomatica, una specie di chantilly solo più densa, e mentre lo mangiavo in religioso silenzio, ho pensato all’ultimo croissant che sapeva di croissant che ho mangiato nella mia vita. Con somma tristezza ho dovuto scavare, anno dopo anno dopo anno. Non è che non mi sia stato possibile o non sia possibile fare colazioni speciali, certo che lo è, ma il croissant che profuma di burro e che esplode in bocca mentre la pasta sfoglia si sbriciola sulle labbra e si posa sui vestiti,  credo di averlo mangiato a Parigi l’ultima volta davvero molto tempo fa e neanche lo scrivo quanti anni sono passati e quanto mi piacevano i croissants parigini, in particolar modo il croissants aux amandes di cui ho ancora un ricordo forte. Non sarebbe bello sapere quando sarà l’ultima volta che assaggiamo una cosa che ci piace? No, forse non sarebbe bello, anzi sarebbe triste. Quindi insieme a tutto quello che perdiamo dobbiamo mettere in conto che un certo sapore e odore potrebbe svanire, per sempre? Ho sempre creduto che non riuscire a ritrovare un sapore abbia a che fare con le differenze che accompagnano l’esperienza, se cambia l’umore o se non abbiamo fame, è impossibile ripetere la stessa esperienza oppure no, devo ricredermi, scorre tutto e anche il gusto di un sapore certo, su cui facevamo affidamento,  proprio quello, può estinguersi per sempre.

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aggiornare il blog a Milano

dalla Feltrinelli della stazione centrale di Milano si può aggiornare un blog. Mi pare un buon vantaggio. Aggiornare #gallinacciainfuga.it da Milano, mi fa sentire clandestina quasi come se leggessi Lolita a Teheran, ok scherzo.

Sono a Milano dalle 7 e 50 di ieri mattina, sono riuscita ad arrivare in aeroporto con un certo anticipo come se non potessi perdermi qualcosa della giornata che mi aspettava. In Humanitas dalle 8.30 mi sono messa pazientemente ad aspettare il mio turno per la colazione, ooops, per il prelievo ovviamente. Alle 10,30 mi sono accorta che però qualcosa non andava. L’attesa era troppo lunga e poi continuavano a scorrere numeri che ero certa fossero successivi al mio. All’inizio mi sono detta che forse c’erano delle urgenze, forse c’erano persone che dovevano fare terapie per cui avevano necessità di fare prima i prelievi, forse c’era più gente del solito. Ho chiesto al responsabile di sala se ci potesse essere un disguido e lui, come uno che sapeva benissimo che poteva esserci un disguido è entrato nel box prelievi e ha chiesto. L’infermiera non trovava il mio nome in elenco, pur avendo io fatto prenotazione e accettazione, mi ha comunque chiamata per nome invece che con il numero e alla fine ha appurato che la segretaria non aveva chiuso la pratica che però era in ordine. Dovendo fare la Tac nel pomeriggio era troppo tardi per fare colazione e quindi ho atteso, ho atteso e ho atteso. Fino alle 18.30. Quando finalmente ho vinto l’accesso alla TAC, è incredibile la gioia che ti può dare fare una Tac se aspetti.

Dopo la TAC ho raccolto le mie cose per uscire di corsa ma poi quando stavo per guadagnare l’uscita mi sono ricordata che dovevo farmi togliere l’ago con cui mi avevano infuso il liquido di contrasto e quindi sono tornata dall’infermiera della radiologia. Che però non c’era. Ma poi è arrivata e quindi sono uscita. Mentre riattraversavo il corridoio ho pensato che se non trovavo il taxi avrei fatto prima a uccidermi, così per risparmiarmi la fatica di trovare una soluzione. MA il taxi c’era e quindi ho dovuto aggiornare i programmi. In albergo però ho scoperto che non c’era il ristorante e quindi per mangiare sarei dovuta uscire. Lo so potevo ordinare qualcosa, potevo capire se mi rimediavano qualcosa. Potevo. Ma non avevo la forza di fiatare così sono andata a dormire e più che un sonno deve essere stato uno svenimento perché fino alle 8 di mattina non ho capito più nulla.

Sono scesa a fare colazione, ho scelto accuratamente il cibo che non avesse minimante a che fare con una dieta anti infiammatoria e ho mangiato e bevuto latte e caffè, pessimo ma pazienza.

Ora dalla Feltrinelli della stazione centrale, attendo il treno che mi porterà a Rimini e la giornata di ieri mi sembra lontanissima

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La volpe e l’uva, forse

Qualche giorno fa mi sono posta il problema di cosa farne del blog e soprattutto del senso che poteva aver linkarlo alla mia pagina Facebook o Instagram, visto il mio poco traffico e i pochi follower. Siccome sono inondata da inserzioni su webinar, corsi di ogni genere per diventare qualcuno o vendere qualcosa, ho pure cercato di capire se era il caso di affidarmi a chi ne sa, ma poi siccome consigli strepitosi e visioni strabilianti non me trovavo ho pensato che intanto dovevo dedicare più tempo ai social ampliare i contatti e passare più tempo su Facebook o su Instagram, non litigando con nessuno possibilmente (che è la cosa che mi diverte di più sui social) ma caso mai fare complimenti, commenti su profili identificati come adatti alla mia rete e soprattutto cercare di rendere la mia comunicazione facile e univoca, così da poter scalare la nicchia. La noia. Non sono una persona pigra, esattamente il contrario, se motivata sono un osso duro, difficile per me mollare la presa, divento ossessiva, caso mai. Ma la noia di diventare qualcuno sui social mi ha fatto desistere in meno di due ore. Non è per me. I profili più o meno affini, quelli a cui teoricamente dovrei somigliare, quelli a cui dovrei fare riferimento per crescere,  hanno contenuti espressi in cinque frasi brevi, non è per criticare, non sempre e non tutti, ma in generale si esprimono con codici non affini ai miei. Non è il mio mondo e non riuscirei mai a divertirmi, lo so che per essere letta sui social  devo essere breve, ma io scrivo su un blog perché raccolgo i miei appunti per la prossima vita. Mi farebbe piacere condividerli, ma non fino al punto da diventare una Donna a una Dimensione (eh sì, sto parafrasando e citando Marcuse…). Quindi ho preso la seguente decisione, continuo a scrivere per me e per i miei 15 lettori (veri e contati, cito Manzoni perché magari porta bene) poi visto che ho, diciamo così, esigenze comunicative, scrivo un altro libro, anzi continuo a scriverlo visto che ho cominciato. Voi quindici trovatemi un editore, perché quello è quasi più scoraggiante di scalare i social. Quasi. Il blog non lo lascio (utile o inutile, chi se ne importa) i miei contatti non li amplio e niente, continuiamo così, facciamoci del male.

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Attenzione Concentrazione

Mi capita spesso di ricordare un luogo, una via, una piazza, un locale dove posso aver mangiato o bevuto qualcosa, ma di non ricordare dove fossi, a quale latitudine. Una strana sensazione, cerco di ricostruire meglio il mio ricordo e qualche volta sono quasi sicura che quel ricordo riguardi proprio quella città, ma poi si allontana e sono altrettanto certa che potrebbe non essere proprio quella città. Mi capita anche che con i libri che leggo sul Kindle, tendo a dimenticare il titolo, cosa impossibile se il libro è di carta, questo mi fa pensare che la mia memoria del titolo dipende dal medium, un libro di carta ce l’ho tra le mani e rileggo il titolo ogni volta che lo apro, mentre il titolo di un libro elettronico lo leggo solo quando decido di leggerlo. Probabilmente ho una architettura cognitiva analogica, però lo detesto in ogni caso. Detesto non ricordare dove fossi quando mi viene in mente il mercato della frutta con quella luce di quel pomeriggio, quella pi.ccola piazza di cui ricordo perfettamente la fontana, mi fa pensare che i miei neuroni siano in caduta libera. Ma poi realizzo che in effetti fino a un certo punto della mia vita dimenticavo molto, ma molto di più. Anche se c’erano cose che proprio non avrei potuto dimenticare, come il titolo di un film, cosa che ora mi succede spesso,  potevo dimenticare oggetti importanti dovunque, perdere sciarpe,  occhiali e perfino borse con una frequenza impressionante e dimenticare volti e conversazioni con una velocità supersonica. Non mi succede quasi più, sono molto più concentrata e chi continua a trattarmi come una persona sbadata, non immagina che riesco a registrare ogni azione che basandosi su una me che non esiste più, intercetta con precisione ogni tentativo di manipolazione. E’ come se avessi acquisito un super potere. Ma del resto la concentrazione è un super potere.  Non mi si può dire più: te l’avevo detto e farla franca, forse ti sei dimenticata e sperare di cavarsela. Non mi ribello, faccio finta di essere la scioccata di sempre. Ma intanto ho assistito a una rivelazione

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Il magico potere di ricominciare

ritorno alla base e alla routine, che poi è ciò che determina la base. Le cose da fare che ti fanno sentire nel flusso oppure nel giusto, perché ti danno la sensazione di fare la cosa giusta. Viviamo in auto ipnosi; uno schema ci tranquillizza più di quello che contiene lo schema, ma non sottilizziamo, va bene perché ci porta avanti, ci fa andare avanti. La routine di stamattina è la lezione di yoga, la spesa e l’organizzazione di cose e persone, nomi , fiori e città. Qualche complicazione questo mese porterà per forza; ci aspetta una ristrutturazione, più complicata di quella appena fatta, occorre svuotare la casa e andarsene per un po’. Altre certezze sottratte e altre routine da inventare. Mi fa male la schiena solo a pensarci, ma un giorno alla volta, diventerà la normalità, per qualche tempo. Il tempo di rimandare, un po’ rimanderò e poi questa cosa, la affronterò. Magari interpello Marie Kondo, il cui libro (Il Magico Potere del Riordino, per i due o tre che non lo conoscono) non smette di guardarmi e rimproverarmi da anni. Neppure la serie su Netflix ho mai osato guardare. Ma ora non c’è scampo.

Un giorno alla volta, ricominciamo sempre.

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Profumi e Balocchi per me

Siccome per questo anno sono in fissa per i profumi, stavo leggendo le cosiddette note olfattive di un profumo e mi sono imbattuta nell’espressione “accenti proustiani” che immagino voglia dire un profumo che ci ricorda qualcosa di perduto.

Ho pensato ai miei profumi preferiti, profumi che mi piacciono ce ne sono diversi, ma due sono i miei preferiti, Un bois Vanille di Serge Lutens e Shalimar di Guerlain, poi ci sono anche le boccette di profumo sfuso che comprai in Turchia, meravigliose, quello al sandalo e chiodi di garofano, e poi mango e gelsomino. Ma non saprei come riaverle perché non saprei come tornarci in quel bazar di profumi

In cosa questi profumi avrebbero per me il ricordo di qualcosa di perduto, non saprei, probabilmente in nulla.

Non mi piacciono i profumi alla rosa, alla violetta o alla lavanda perché  li associo a qualcosa o qualcuno di spiacevole, dall’infanzia.

In estate mi piacciono i profumi fruttati, di agrumi, di verbena, bergamotto o basilico. Ma poi torno sempre a loro:

Un bois vanille perché quella fragranza mi fa sentire un tuffo al cuore e a Shalimar,  perché è come casa.

Così per quanto cerchi alternative,  per quanto sia curiosa e passi tanto tempo nei duty free a sentire profumi con l’accanimento di cane da tartufo torno sempre lì. Anche perché Lutens non si trova nei duty free. Di Lutens mi piace anche Five O’clock au Gingembre e Ambre Sultan, ma chissà come alla fine prendo Un Bois Vanille.

Poi oggi ho sentito il profumo dei mandarini, che sono il profumo del Natale per me. Dei ricordi e dell’infanzia,  non sempre bei ricordi, ma quella sì è la nota proustiana del Natale.

La nota dolorosa, quella risuona nell’odore del mandarino, anche forse vagamente in Un bois Vanille e non è la vaniglia a darmi il tuffo al cuore è qualcos’altro, di intenso. Che spinge dove fa più bene il male ed è come una vertigine

Il Natale gira molto intorno ai profumi, non solo per i regali, per ogni tipo di odore e per ogni tipo di spezia che fa Natale, l’eterna festa del paradiso perduto, che profuma un po’ di mandarino e un po’ di cannella. Molto di desideri ancora più di promesse non mantenute, ci riproviamo ogni anno sperando sia la volta buona. Alla fine il Natale passa, il tuffo al cuore di Un Bois Vanille,  per fortuna mi resta.

Chissà se qualcuno ricorda un profumo maschile chiamato Tactis, lo usava un mio fidanzato al quale mai dissi che era lo stesso profumo di un altro che lo aveva preceduto, mi piaceva molto. Il profumo per quanto ora fuori produzione si rivelò un ricordo più dolce e gradevole di lui, quindi feci benissimo a tacere

Non ho mai più sentito un profumo maschile che mi piacesse altrettanto, Forse Tobacco Vanille di Tom Ford,  profumo unisex, ma forse no, troppo intenso, e sì la vaniglia ritorna, lo so.

 

 

 

 

 

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