il caffè

Siccome è un giorno in cui mi sono svegliata dal lato sbagliato, ho subito pensato: come rimediare?  La prospettiva era un declivio. Ah mi sono detta, non preoccuparti arriverà il minuto, anche in questo giorno, in cui ti accorgerai che non tutto è perduto. Ma il tempo passa e il declivio si allarga. Non temere, arriverà quel minuto, devi solo aspettare e sperare ma chi di speranza vive si sa come muore, ma io non muoio mi sono detta, non oggi e nel caso non muoio disperata e comunque tra 100 anni non ci sarà più nessuna delle persone che conosco, quindi anche oggi esco e non ci penso più. C’è il sole guarda, c’è il sole, consolati, c’è sempre il sole. Non basta il sole. Molto meglio il caffè e il suo odore.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Vivesti solo un giorno, come le rose.

Una ragazza che si tuffa nel fiume, in un giorno di afa e poi scompare trascinata dalla corrente. Hamsa si chiamava, la ragazza di origini marocchine, si affrettano a scrivere. Mi sono dimenticata subito di Hamsa. Ho poi letto di suo padre e non ho più smesso di pensarci,  ho pensato a lui che entrava nell’Adda per cercare sua figlia, ci ho pensato ogni giorno e mi sono chiesta  cosa pensava e cosa faceva, come la cercava e cosa cercava. Un bagno da fare ancora insieme. La speranza che pur dragando palmo a palmo il fiume non l’avrebbe trovata. Una piccola storia straziante, ancora più straziante sapere che in quella ricerca quell’uomo magari era solo, che gli amici gli dicevano: lascia perdere, il fiume non è detto che te la restituisca. E invece lui, ogni giorno, per 21 giorni,  si è alzato e ha detto a sua figlia: sto venendo a prenderti, sto venendo a cercarti, non farti trovare ti prego, lasciami restare con te in quel fiume, lasciami ancora fare qualcosa per te.

Hamsa aveva 15 anni, un trafiletto nelle notizie di cronaca, si potrebbe dire, se qualcuno leggesse ancora i giornali di carta. Chissà cosa sarebbe diventata Hamsa se solo non fosse stata trascinata dalla corrente. Chissà come sarebbe diventata e come sarebbe stato orgoglioso suo padre di lei. Nessuno lo sa, nessuno può saperlo. Ma oggi suo padre non è entrato nel fiume per cercarla.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Il senso di Susi per il dovere

A proposito del senso del dovere. Non è un difetto neppure un’attitudine sbagliata, a volte è semplicemente inutile. Anche se ci conviviamo, anche se ci abbiamo costruito intorno la nostra vita, anche se non ci aiuta a essere più contenti, la stupida contentezza con cui convivere almeno per un po’. Il senso del dovere ci aiuta, ci mantiene all’interno del rispetto delle regole sociali, conforta i nostri genitori o i nostri figli, è qualcosa che ci dà la sensazione di avere una rampa per i giorni che verranno. Statisticamente può funzionare, alzarsi, lavorare, portare uno stipendio a casa, o guidare imprese di successo, tutto questo si basa sul senso del dovere, forse per le imprese di successo non necessariamente, ma diciamo che provvedere ai bisogni della famiglia, anche solo quelli primari, si basa sul senso del dovere. Poi possiamo chiamare senso del dovere quello che ci rassicura o semplicemente quello che sappiamo fare perché in effetti non sappiamo vivere diversamente, non importa, il senso del dovere ci fa andare avanti giorno dopo giorno.

Poi però ci sono i giorni in cui il conforto che ci assicura il nostro senso del dovere può non bastare, c’è il giorno del caos: lo sperimentiamo tutti. Anzi, ad allargare la lente, a guardare a grandi linee, a mettere bene in prospettiva le cose e le storie, può capitare che ci accorgiamo che la realtà è proprio a quello che tende, al caos. E per quanto ci preoccupiamo di rimettere in ordine le cose, classificarle, cosa utilissima, la folata di vento arriva.

Qualche volta per fortuna, altre per sfortuna, fatto sta che arriva e il nostro senso del dovere è solo la maniera che abbiamo per andare avanti, per cercare di ignorare la folata di vento che tanto, lo sappiamo tutti, se non è già arrivata, arriverà.

E poi le cose si ricomporranno e poi ne arriverà un’altra, fino alla folata di vento definitiva.

 

Quindi gran parte del mio tempo la passo a cercare di capire non come impedire che accada, ma ad essere abbastanza radicate da non volare al primo soffio e siccome i miei mezzi interiori ed esteriori sono quelli che sono, l’unica cosa che posso fare è mettere insieme e classificare i momenti tra una folata di vento e l’altra.

Lo so che non ho scoperto nulla, ma mettiamo che sono io che ho capito tardi mentre tutto il mondo l’aveva già capito, l’unico dato sensato che ricompone questa classificazione è che il senso del dovere aiuta, ma fare quello che si vuole aiuta di più, perché è come una luce che illumina tutto il resto, anche quelli che si aspettano che facciamo il nostro dovere, ti mantiene centrato, ti stabilizza e la tua forza centripeta attira il resto.

Banalmente, Susi.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Giorno 19, come il Covid

Sul balcone di fronte al mio, ma ben distanziato al punto che non riesco a vederne i contorni del viso, c’è un uomo che stende un bucato di bianco, credo viva solo e che sia un maniaco del pulito. Lo era anche prima, lo guardavo incantata mentre puliva i vetri o con la scopa in mano, in genere la mattina presto e anche quando fa freddo, lui all’aperto sul suo grande balcone e io che lo guardo dai vetri. Un bucato di bianco è da professionisti. Non lo faccio quasi mai perché la mia biancheria è quasi tutta colorata, la compro così proprio per evitare l’effetto grigio dei lavaggi misti. Sogno un bucato di bianco che non faccio, e i miei asciugamani sono colorati e pure le mie lenzuola. Ma vorrei la vita di chi fa un bucato di bianco, mi fa pensare a gente che sa come prendersi cura di una casa, di sé e della vita in generale.
Però resta il mistero dell’uomo del balcone di fronte, perché anche se i suoi asciugamani e le sue lenzuola, la sua biancheria, sono tutte bianche che se ne fa di tanti bucati di bianco? Su quel balcone io non ho mai visto nessuno a parte lui. Oggi ha gli occhiali da sole, credo sia un lavoratore essenziale, qualsiasi cosa significhi, perché lo vedo per lo più la domenica. Oppure la mattina prestissimo. Oggi deve avere tempo, sta stendendo con una cura che neanche la nanny della casa reale. Non è l’aria del bucato da lockdown, è solo che oggi ha tempo. A volte si mette anche il grembiule durante i lavori domestici. Ha un fisico magro ma si vede che nel tempo libero si dedica ai lavori di casa, non si allena, si capisce. Ed è solissimo, il suo è l’unico balcone in cui non ci sono piante, forse ha paura di sporcarlo. Stende con una precisione asfissiante, deve avere due lavatrici, perché è appena arrivato con un carico di biancheria colorata, non proprio colorata, scura. Ha steso al centro il bucato di bianco e all’esterno il bucato di scuro. Ora è tutto steso al sole, mentre lui non c’è più. E io me lo immagino a cronometrare il tempo in cui potrà ritirare il suo bucato. Perché il suo weekend è costruito intorno al suo bucato. Così me lo immagino l’uomo del balcone di fronte.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

Giorno 18

Il giorno in cui si recupera quello che si è sprecato. Ma che bello. Non si era detto che ciò che si lascia è perso e il passato non torna e l’acqua passata non macina più e chi ha tempo non aspetti tempo? Invece poi arriva il tempo supplementare. Che fortuna e che sollievo.
Il tempo di andare dove ormai non ci speravi più, di dire quello che, ci avresti giurato, non avresti potuto dirgli più. Il tempo di cambiare idea. Di scoprire che poi in fondo quella cosa non ti piace e che invece quell’altra, quella, ah quella, di quella vorresti sapere e sapere e imparare fino a non poterne più. Il tempo supplementare. Il tempo che passa e il tempo che torna, che si dilata e ancora e ancora. L’infinito. E non parlatemi di qualità del tempo che è meglio della quantità. Bugiardi, il tempo è proprio una variabile che si misura in quantità, poi ci penseremo alla qualità. Quella è la mia specialità. Il tempo che fugge e non mi prende. Ciao amore, ciao.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su:

giorno 17

Il giorno della scintilla.
Uno dei sogni che ricordo in maniera più vivida, l’ho fatto da piccola, non saprei quanto piccola, ero piccola, questo lo so. Sognai un albero di Natale bello e scintillante con un piccolo pacchetto appeso per me. Nel pacchetto c’era una scintilla, immaginate una lucciola però 100 volte più luminosa e quel regalo, nel sogno, mi emozionò così tanto che forse per questo ancora lo ricordo. Sognai evidentemente quella che ai bambini doveva sembrare la luce del Natale, sognai un Natale luminoso come quello che desiderano i bambini e che, naturalmente, non ebbi. Associo il sogno a tutto il desiderio di luci di Natale che ho più meno tutto l’anno. Non è desiderio di Natale, sia chiaro, ma di lucine di Natale. Ho sempre cercato di illuminare con le lucine le tavole estive all’aperto, sono romantiche e piene di promesse.
Poi le promesse non vengono mantenute, ma per tutto il tempo in cui sono immersa nelle lucine, io ci spero. Ora mi faccio meno problemi di quanti me ne facessi nel tempo che è stato necessario per passare dall’essere piccola bambina attratta dalle lucine all’essere Gallinaccia attratta dalle lucine, ho meno paura di sembrare troppo scintillante, non solo a Natale.
Ho bandito il nero, che pure è un colore che ho amato molto, lo indosso sempre meno e sto attenta a non comprare indumenti neri. Forse è solo una fase, non lo so. Mi piacciono i colori, il verde col viola, il rosa con il rosso. Penso a quando vedevo le mie coetanee, cioè quelle che ora sarebbero state le mie coetanee, vestite di sberluccichi e di paillettes e mi chiedevo come facessero a non vergognarsi di vestirsi come se avessero avuto cinque anni, ma ora lo so, non erano interessate al giudizio degli altri. Allora non sapevo che si resta bambine di cinque anni anche a novanta anni e che a un certo punto non sei più interessata a convincere il mondo di essere una personcina elegante. Fai pace con la bambina di cinque anni che è in te, scopri che vestirsi di colori sgargianti, forse non è chic, anzi sicuramente non lo è, ma è divertente. E divertirsi un po’ è l’unica cosa che conta.

Ti è piaciuto? metti un like e condividi su: