Il giorno della solitudine. Vengo da te perché vorrei farti felice, come quando ero piccola. Ti porto piccole cose solo per farti felice, per farti sorridere per farti capire che vorrei vederti felice, una volta. Capisci che è me stessa che cerco di fare felice? Il primo giorno è andato bene, siamo uscite mi hai detto tutto quello che volevi, sorridevi, ogni tanto. Il primo giorno è andato bene, non bisogna mai sfidare la fortuna. Ho provato a rassicurarti su tutto, lo so che è quello che vuoi, qualcuno che ti rassicuri su tutto. Anche io lo vorrei. E ci casco ogni volta, sono stanca, mamma. Ho cercato di non contraddirti, ho cercato di non indispettirti, ho cercato di far andare tutto liscio, come quando ero piccola. E tu non lo capisci. Hai sempre un problema più grande, un dramma più importante, una necessità più stringente. Non è mai il mio turno. Se ti dicessi tutto, se sapessi tutto, se conoscessi ogni rospo che ingoio, mi chiederesti perché tu non lo sai, anzi no, non me lo chiederesti neppure, riusciresti a fare la vittima anche in quel caso. Sono stanca mamma. Mi fa male la schiena mamma, ma non è mai il mio momento ed è diventato troppo tardi.
E mi sono persa e non so più come fare per aggiustare tutto per aiutarti a non drammatizzare. A furia di cercare di sminuire, il solco è diventato una montagna.
Una macchina parcheggiata davanti a una boutique di grido, neppure mi ricordo come mai mi trovassi lì con te, che avevi sempre qualcosa di più importante da fare. Un costume rosa, succinto e bellissimo, me lo comprasti senza battere ciglio, senza le solite estenuanti trattative. Eri contenta quel giorno, eri contenta di me, non ho mai saputo perché quel giorno fossi così contenta al punto da uscire dalla tua zona di conforto per portarmi un po’ più lontano, in un luogo bellissimo, dove non eri mai stata, ma volevi andarci e scegliesti me per farlo. Questo è il ricordo più bello di noi che ho, è poco, mamma. Ma ho dovuto sempre accontentarmi.
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