IL giorno della nostalgia. Se chiudo gli occhi sento ancora l’odore, quell’aria pungente, la luce che stenta ad arrivare anche se sono le otto, ma è inverno e qui le ore di luce sono poche, per questo abbiamo finestre grandi, che arrivano al soffitto e non abbiamo scuri e rincorriamo la luce come girasoli impazziti, siamo nel nord, la luce è poca e la luce è tutto, per noi.
Per me che amo il crepuscolo, il freddo e quella sensazione di caldo quando non sono all’esterno, quella luce era perfetta. Solo un po’ troppo freddo, l’inverno, ma accettabilmente freddo. Smisi di fumare perché di restare nelle terrasses invece che nei locali per fumare non se ne parlava proprio, troppo freddo e poi avevo già deciso di smettere. La grisaille, tanto temuta lì, a me piaceva, almeno un po’. A volte e sorprendentemente alcune giornate erano investite da un sole delicato che illuminava il freddo, il freddo becco, accidenti. Ma quel freddo secco che puoi sfidare, quel freddo che basta camminare. Ed era più o meno quello che facevo il più possibile, camminare, e alzare gli occhi e commuovermi, che bello, dio che bello. Ho sempre amato quella città perché in me faceva esplodere quel tipo di sentimento che mi squassa quando amo; mi piaci, ti adoro, ma soffro anche perché la tua bellezza mi ferisce, perché so e lo capisco, che non ti avrò mai.
Una volta all’anno, almeno una volta all’anno vorrei rivederti.
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